Carni Sostenibili: presentato il libro “Carni e salumi: le nuove frontiere della sostenibilità”

Il settore zootecnico italiano vale il 15% di tutto l’agroalimentare del nostro Paese, con un fatturato di quasi 30 miliardi di euro – 9,3 miliardi per i bovini,11,3 miliardi per i suini e 9 miliardi per l’avicolo -, 513 mila addetti e circa 170.000 aziende agricole. Questa la fotografia del settore scattata durante la conferenza stampa di presentazione del volume “Carni e salumi: le nuove frontiere della sostenibilità“, scritto dagli autori Elisabetta Bernardi, Ettore Capri e Giuseppe Pulina. Il libro è edito da Franco Angeli con il contributo di Carni Sostenibili, organizzazione no profit che riunisce le associazioni dei produttori di carni e salumi italiani con lo scopo di promuovere un consumo consapevole e la produzione sostenibile degli alimenti di origine animale. All’evento, insieme agli autori, è intervenuto anche Luigi Scordamaglia, Consigliere Delegato di Filiera Italia.

Al centro dell’incontro il grande tema della sostenibilità. In un contesto globale in cui, secondo le stime FAO, la richiesta di alimenti di origine animale vedrà un aumento del 30% entro il 2050 (+29% carne, +35% latticini, +25% uova e +37% pesce) è evidente che il comparto dovrà essere in grado di produrre di più continuando a ridurre i propri impatti ambientali. Un percorso già intrapreso dal settore agricolo, che a livello mondiale ha ridotto le emissioni pro-capite del 20% in 30 anni a fronte di un aumento della popolazione di 2,5 miliardi di individui.

Ma qual è la situazione in Italia? “Oggi l’agricoltura pesa per il 7,8% sul totale delle emissioni climalteranti – ha spiegato Giuseppe Pulina, professore di Etica e Sostenibilità degli Allevamenti all’Università di Sassari e presidente di Carni Sostenibili – di queste il 3,5% sono imputabili alle filiere della carne, escluso latte e uova”. Secondo i dati Ispra 2023, infatti, i settori le cui emissioni maggiormente impattano sul clima restano Energia e industria energetica (55,0%) e Trasporti (24,7%). “Ma quello che è più importante è che quando si parla di impatto ambientale della zootecnia – aggiunge il professore – dobbiamo cominciare a ragionare in un’ottica di equilibrio: in questo comparto, infatti, emissioni e sequestro delle stesse avvengono nello stesso posto e nello stesso momento”. “Nuovi studi ci dicono che in Italia le attività zootecniche negli ultimi 10 anni non solo non hanno impattato sull’ambiente, ma hanno contribuito a raffreddare l’atmosfera con emissione ricalcolate cumulativamente a -49 milioni di tonnellate di CO2 equivalente”. Un dato importante che si basa sulle revisioni delle metriche proposte dal team di fisici dell’atmosfera dell’Università di Oxford pubblicate su Nature e applicate al nostro sistema dagli studiosi dell’Università di Sassari sulla base dei dati Ispra dal 1990 al 2020. Ma come si spiega una tale riduzione degli impatti? “Lo studio dei ricercatori di Oxford prende in considerazione per la prima volta la differenza in termini di azione sul riscaldamento globale tra gli inquinanti climatici a vita breve, come il metano, e gli inquinanti climatici a vita lunga come l’anidride carbonica”, spiega Pulina, sottolineando che “le nuove metriche tengono conto di questa differenza e in particolare di quanto un gas permane in atmosfera, una differenza sostanziale se consideriamo che il metano ha una emivita di circa 10 anni, mentre l’anidride carbonica resta in atmosfera per oltre mille anni. In altre parole, a tasso di emissioni costanti, il metano non si accumula in atmosfera e non la riscalda mentre l’anidride carbonica si accumula in atmosfera e la riscalda”.

Poiché nel mondo 1,3 miliardi di persone devono esclusivamente il loro sostentamento ad attività legate alla zootecnia, Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, nel suo intervento ricorda la necessità di mantenere vivo il legame fra terra e produzione del cibo: “La risposta alla domanda di sostenibilità non può essere quella di smantellare le attività agricole e delegare ai laboratori la produzione di quello che mangiamo”. E in particolare sulla carne artificiale ricorda che: “Secondo Fao e OMS esistono almeno 53 potenziali pericoli per la nostra salute legati al possibile consumo di carne artificiale, mancano gli studi necessari che dicano che il consumo di questo prodotto, addizionato di ormoni, antibiotici e antimicotici necessari per farla crescere, non comporti rischi”. E ha aggiunto il Consigliere Delegato: “Il divieto alla produzione e alla vendita in Italia di carne artificiale tutela il consumatore in questo senso. Lungi dall’essere una battaglia di retroguardia è la giusta applicazione di un principio valido in tutta l’Ue, il principio di precauzione”. E sugli impatti ha affermato: “Chi ha salutato l’avvento della carne artificiale come alternativa più sostenibile dovrà ricredersi: recenti studi più accurati ci dicono che la produzione di carne artificiale attraverso bioreattori potrebbe avere un impatto climalterante fino a 25 volte superiore a quello della carne naturale”.

E sul tema della sostenibilità degli allevamenti italiani torna anche Ettore Capri, professore di Chimica agraria presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, che ricorda come il sistema zootecnico Made in Italy sia un modello avanzato di economia circolare: “Negli ultimi anni – dice Carpi – abbiamo assistito a una progressiva presa di coscienza del comparto che ha metodicamente provveduto a rigenerare le risorse e a diminuire gli scarti”. Oggi, infatti, l’Italia è il 4° produttore al mondo di biogas, dopo Germania, Cina e Usa. “Questo ha contribuito – sottolinea il professore – a un enorme risparmio delle emissioni consentendoci di accumulare un know how elevato che ci porta a produrre più energia con meno biomasse”. Nello stesso senso va lo sviluppo delle attività di Carbon Farming: “Si tratta di una serie di pratiche agricole – spiega ancora Capri – in grado di sequestrare il carbonio atmosferico e stoccarlo nel suolo, nelle radici delle colture, nel legno e nelle foglie. Questa capacità che hanno tutti i vegetali di sottrarre CO2 dall’atmosfera per far crescere tutta la pianta, dalle radice alle foglie, rappresenta una grande opportunità per l’agricoltura, in particolare per quei processi rigenerativi per i quali l’allevamento del bestiame svolge un ruolo primario nella produzione di sostanza organica da destinarsi al suolo”. Secondo l’ultimo studio commissionato dal Parlamento europeo nel 2021 il potenziale di mitigazione del carbon farming dell’UE varia tra 101-444 Mt CO2-e all’anno, pari a circa il 3-12% delle emissioni totali annue di gas serra dell’UE. Ciò implica che il carbon farming potrebbe compensare il 26% delle emissioni annuali agricole dell’UE anche al minimo del suo potenziale stimato.

Infine un punto anche su carne e nutrizione. Oggi l’Italia è agli ultimi posti in Europa per consumi di carne pro-capite. Gli ultimi dati Ismea parlano di “consumi apparenti” di circa 65,3 Kg pro-capite di carne all’anno (pollo, suino e bovino), che al netto delle parti non edibili (ossa, tendini, grasso) sono poco meno di 33 kg all’anno per persona (consumo reale). Secondo Elisabetta Bernardi, nutrizionista, biologa e specialista in Scienze dell’alimentazione – “La carne è a tutti gli effetti parte integrante della dieta mediterranea, modello alimentare sui cui benefici la scienza è concorde e con soli 100 grammi di carne rossa, si copre circa il 25% della dose giornaliera raccomandata per la riboflavina, la niacina, la vitamina B6 e l’acido pantotenico, e i due terzi per la vitamina B12”. L’esperta ha inoltre illustrato le novità dal mondo scientifico sui temi della nutrizione e della salute.- “Una recentissima revisione della letteratura “ continua la Dr.ssa Bernardi –“pubblicata su Nature Medicine sottolinea quanto siano deboli e insufficienti le evidenze per formulare raccomandazioni conclusive sul consumo di carne rossa. Secondo gli autori dello studio la carne rossa non costituisce un rischio per la salute, come del resto già evidenziato da altre pubblicazioni quali lo studio PURE, condotto su 164.000 partecipanti, che ha dimostrato che il consumo di quantità moderate di carne non trasformata non aumenta il rischio di patologie cardiovascolari né ha conseguenze sulla mortalità. Nel 2019 lo studio del gruppo di esperti NutriRECS ha concluso che non esistono evidenze che ci sia un aumento del rischio associato a un consumo maggiore di carne e che quindi non sia necessario modificarne le attuali abitudini alimentari”.

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