Inquinamento atmosferico e Covid, l’Iss: “nessun legame dimostrato”

Le ipotesi che suggeriscono correlazioni tra le aree a maggior inquinamento atmosferico e la diffusione del virus responsabile della COVID-19 hanno sollecitato la richiesta di pareri all’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e stimolato molti gruppi di studiosi a collaborare per esaminare il problema e le possibili associazioni. L’incertezza che ancora riguarda molti aspetti di questa epidemia richiede quindi una certa cautela e un approfondimento delle eventuali relazioni causa-effetto, scrive l’Istituto Superiore di Sanità nel suo approfondimento.

L’esposizione all’inquinamento atmosferico indoor e outdoor – e in particolare al materiale particellare PM (PM10, PM2,5), agli ossidi di azoto (NO e NO2), nonché all’ozono (O3) – può determinare un insieme di effetti sanitari avversi già ampiamente descritti, come l’aumento delle malattie non trasmissibili (Non Communicable Diseases, NCD), che includono principalmente le malattie croniche del sistema cardiocircolatorio quali le malattie ischemiche del cuore (infarto miocardico, ictus cerebrale), quelle dell’apparato respiratorio, come l’asma, la bronco pneumopatia cronica ostruttiva (BPCO).

In merito alla possibilità di un’associazione diretta della diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2 con le aree a elevato livello di inquinamento atmosferico è necessario porre una particolare cautela, trattandosi di un’infezione virale, sottoposta a meccanismi di trasmissione attraverso il contagio diversi da quelli che caratterizzano la diffusione dell’inquinamento atmosferico – continua l’Istituto Superiore di Sanità – tuttavia, la diffusione del virus si è presentata attraverso focolai circoscritti all’interno di zone della macroarea di appartenenza (pianura padana) sottoposta a valori di inquinamento atmosferico elevati e piuttosto omogenei; altre aree a forte inquinamento atmosferico, anche se prossime, sono rimaste inizialmente escluse e interessate, solo successivamente, con minor forza dalla contaminazione del virus. Si osserva, inoltre, che a seguito delle disposizioni governative, la ridotta mobilità delle persone e la chiusura di molte attività produttive, ha portato a una progressiva e significativa riduzione dei livelli di inquinamento dell’aria (PM10, PM2,5, NO2, benzene).

Va considerato che le aree dove il virus ha evidenziato l’impatto più elevato, sono le aree italiane sia ad elevata densità di popolazione sia a più alta produttività del Paese. In questi territori sono presenti il maggior numero di aziende con vocazione e crescita internazionale che hanno continui e frequenti rapporti con Paesi stranieri (in particolare Stati Uniti, Cina e Federazione Russa), con conseguente alta mobilità dei lavoratori.

In sintesi, la complessità del fenomeno, insieme alla parziale conoscenza di alcuni fattori che possono giocare o aver giocato un ruolo nella trasmissione e diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2, rende al momento molto incerta una valutazione di associazione diretta tra elevati livelli di inquinamento atmosferico e la diffusione dell’epidemia da COVID-19, o del suo ruolo di amplificazione dell’infezione. Appare dunque necessario pianificare e realizzare studi caratterizzati da adeguati disegni e protocolli di indagine, e corredati da modelli di analisi che consentano di comprendere il ruolo giocato dalle molteplici variabili coinvolte nel fenomeno, effettuando anche un’analisi comparativa su scala più ampia quale quella europea e internazionale.

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